Posto a 250 metri sul livello del mare, Pentedattilo si trova in provincia di Reggio Calabria, incastonato tra le montagne dell’Aspromonte.
Questo antichissimo borgo, venne abbandonato nel 1971, dopo essere stato dichiarato inabitabile, e la popolazione si trasferì più a valle, anche se oggi attorno allo stesso, stanno risorgendo una serie di attività legate all’artigianato ed a Festival culturali molto importanti.
La sua forma ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita, e da cui deriva per l’appunto il nome (penta e daktylos, cioè cinque dita).
Qui il tempo sembra essersi fermato.
Diverse sono le leggende legate all’antichissimo borgo. Tra le più conosciute ricordiamo “la strage degli Alberti”.
Protagonisti due nobili famiglie: gli Alberti, marchesi del borgo e gli Albenavoli, baroni di Montebello Ionico, altro paesino vicino.
Si narra che le famiglie furono protagoniste di una strage sanguinaria, che avvenne la notte di Pasqua del 1686 a causa dell’ira passionale del barone Bernardino, innamorato di Antonietta Alberti, già promessa sposa a Don Petrillo Cortes, figlio del Vicerè di Napoli.
In quella notte, il barone entrò nel castello (oggi quasi completamente distrutto a causa di terremoti ed alluvioni) e si vendicò di tutti gli Alberti tranne dell’amata e del futuro sposo, prendendo in ostaggio entrambi.
A quel punto il Vicerè Cortes inviò una spedizione punitiva e dopo aver liberato Don Petrillo, fece uccidere gli uomini di Bernardino, il quale riuscì a fuggire, portando con sé Antonietta a Vienna. Successivamente l’uomo entrò nell’esercito e la donna in convento di clausura.
Sempre secondo la leggenda, nelle notti di vento, tra le gole della “mano del Diavolo”, si possono udire le urla di dolore di Lorenzo Alberti.
Un’altra leggenda parla invece di un tesoro nascosto dagli Abenavoli nella montagna, tesoro che si perse durante le lotte tra le due famiglie. Secondo la stessa, un giorno un fantasma si rilevò ad un cavaliere di passaggio, dicendogli che qualora fosse riuscito a fare cinque giri attorno alle dita della montagna (all’epoca allineate), questa si sarebbe aperta facendo riemergere il tesoro. La voce subito si sparse tra la gente. Un giorno un cavaliere proveniente dalla Sicilia, riuscì a compiere quattro giri, ma arrivato al quinto un costone della mano cadde su di esso uccidendolo. Come per la prima storia che vi abbiamo raccontato, pare che nelle notti rischiarate dalla luna, si sentano udire le urla dei morti provenienti dalla montagna, che chiedono di essere vendicati.


